Gli ambienti digitali sono popolati da ragazzi e ragazze sempre più piccoli. Con la pandemia si è drasticamente abbassata l’età dei primi accessi on-line e, al contempo, si è dilatato il tempo giornaliero di esposizione alla Rete. La fascia dei pre-adolescenti è quella oggi più a rischio di sviluppare una dipendenza patologica o di rimanere vittima di adescamento da parte di adulti (il 9% delle vittime ha meno di 10 anni). Per troppi di loro – poco più che bambini – l’incontro con la Rete non rappresenta, come dovrebbe, una straordinaria opportunità di crescita e di apertura degli orizzonti, ma un’avventura pericolosa e, in qualche caso, un incubo.
Cosa può e deve fare il mondo degli adulti perché l’ambiente digitale sia fruito in modo creativo, libero e allo stesso tempo sicuro? Non è una domanda semplice, ma si può indicare qualche livello di responsabilità.
Un primo livello di responsabilità è quello delle istituzioni e delle piattaforme, per disegnare spazi digitali che sin dalla progettazione siano a misura di bambini e adolescenti. La Polizia Postale fa un grande lavoro che va accompagnato e sostenuto da investimenti tecnici e finanziari nella prevenzione dei rischi anche da parte di chi propone servizi digitali e ne trae profitto. Concretamente, è necessario, advert esempio, sciogliere i nodi tecnici che rendono difficile verificare l’effettiva età di chi si iscrive sui social, stroncare sul nascere la diffusione di immagini pedopornografiche, contrastare – con la collaborazione degli stessi ragazzi – le espressioni di cyberbullismo, revenge porn, i discorsi di odio e ciò che rende violento e distruttivo l’impatto con la Rete. Un’impresa complessa ma non impossibile, a condizione che la protezione dei minorenni in Rete assuma almeno la stessa centralità che oggi ha la tutela dei nostri risparmi on-line.
Un secondo livello riguarda la promozione delle competenze digitali. La “povertà educativa digitale” è una discriminante per l’esercizio della piena cittadinanza, per il benessere e per lo sviluppo professionale dei ragazzi, oggi spesso nativi digitali solo per l’anagrafe, visto che si collocano, in quanto a competenze, agli ultimi posti nelle classifiche europee. Tante esperienze testimoniano la ricchezza creata dalla transizione digitale del mondo della scuola che, se governata, è in grado di rinnovare la didattica, includere chi convive con bisogni speciali o disabilità e chi cresce nei contesti più isolati, far fiorire talenti inaspettati, praticare l’educazione civica. La media literacy può essere un utile alleato per superare vecchie disuguaglianze educative, grazie a programmi organici di formazione dei docenti, alla riqualificazione degli ambienti di apprendimento, all’innesto delle risorse dell’Intelligenza Artificiale, con il pieno coinvolgimento degli studenti. Ci sono incognite, ma la strada è aperta.
Tutto questo, però, non sarebbe in ogni caso sufficiente senza un terzo livello di responsabilità, quello che riguarda in primis genitori, docenti, pediatri, educatori e tutta la “comunità educante” che accompagna i ragazzi. Non solo, come si cube, per dare il buon esempio, visto quanto facilmente si addebitano agli adolescenti comportamenti distorti in Rete che vedono protagonisti, in primis, genitori e magari nonni. Ma per cancellare il disinteresse con cui si accetta l’uso sostitutivo degli strumenti tecnologici a fronte della progressiva desertificazione degli spazi pubblici di incontro, di cultura, di gioco e di sport. Con le sue grandi potenzialità, il mondo digitale deve servire advert aprire gli orizzonti, non a chiudersi e rinchiudersi.
* Direttrice Programma Italia-Europa di Save the Kids