“Sicurezza e stabilità” dell’Iraq sono a rischio dopo i raid lanciati, anche in Siria, dalle forze Usa contro le milizie filo-Iran per rispondere all’attacco del 28 gennaio contro una base statunitense in Giordania costato la vita a 3 militari americani. A lanciare l’avvertimento è Baghdad, che per bocca del portavoce del governo ha condannato l’operazione, che avrebbe provocato almeno 16 morti e 25 feriti, parlando di un Paese spinto “sull’orlo del baratro” e negando qualunque coordinamento con Washington nei raid sul proprio territorio. Critiche che si sono tradotte anche sul piano diplomatico, con l’annunciata convocazione da parte del ministero iracheno degli Esteri dell’incaricato di affari americano, cui verrà consegnata una nota di protesta ufficiale. Mentre il bilancio della guerra di Israele nella Striscia di Gaza continua advert aggravarsi e ha superato secondo l’ultimo bilancio i 27.200 morti, la condanna del raid Usa non è giunta solo da Iraq e Siria, i cui territori sono stati colpiti: si sono pronunciati anche Iran, Hamas e la Russia, che dopo avere accusato gli Stati Uniti di volere “infiammare ulteriormente il conflitto” in Medioriente, ha chiesto la convocazione di una riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che dovrebbe tenersi lunedì alle 22 ora italiana.
L’Iran ha accusato Washington di aver commesso un “errore strategico” che porterà “solo a una maggiore escalation e instabilità nella regione”. Per Hamas i raid su Siria e Iraq gettano “benzina sul fuoco” in Medioriente, una regione – ha proseguito il gruppo palestinese – che “non troverà stabilità né tempo finché non cesseranno l’aggressione sionista, i crimini genocidi e la pulizia etnica del popolo palestinese nella Striscia di Gaza”. Damasco ha chiesto la tremendous “dell’occupazione della Siria da parte delle forze statunitensi”, sostenendo che gli ultimi raid – condotti in zone dove l’esercito locale è impegnato nella lotta all’Isis – dimostrano “come gli Stati Uniti siano coinvolti e alleati” dell’organizzazione terroristica di matrice sunnita. Da Mosca il raid Usa in Siria e Iraq è stato bollato come un tentativo “di infiammare ulteriormente” la guerra in corso. Advert affermarlo è stata la portavoce del ministero russo degli Esteri, Maria Zakharova. Washington “sta deliberatamente cercando di gettare nel conflitto i Paesi più grandi della regione”, ha insistito la rappresentante della diplomazia di Mosca. Poco dopo il primo vice rappresentante permanente di Mosca presso le Nazioni unite, Dmitry Polyansky, ha comunicato che la Russia ha chiesto in by way of “urgente” una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu “in relazione alle minacce alla tempo e alla sicurezza create dagli attacchi statunitensi in Iraq e Siria”.
Il Regno Unito ha riconosciuto, sostenendolo, il “diritto” degli Stati Uniti a difendersi dagli attacchi, ma dall’Unione europea è arrivato un generale invito alla moderazione. “Tutti dovrebbero cercare di evitare che la situazione diventi esplosiva”, ha osservato l’Alto rappresentante Ue per la Politica estera, Josep Borrell, parlando al suo arrivo a una riunione informale dei ministri degli Esteri Ue a Bruxelles, esortando “tutte le parti a cercare” di scongiurare “un’escalation” nella regione. Per gli Usa i fronti aperti sono molteplici: non solo quello legato alle milizie filo-iraniane attive in Siria e Iraq ma anche quello del Mar Rosso, dove restano vive le minacce alla navigazione da parte dei ribelli houthi dello Yemen. Il Comando centrale americano (Centcom) ha annunciato la distruzione di 12 droni aerei: uno sul Golfo di Aden, sette sul Mar Rosso e altri quattro a terra con raid condotti sullo Yemen, che “rappresentavano” un pericolo “imminente per le navi mercantili e le navi della marina statunitense nella regione”. Nella Striscia di Gaza intanto si continua a morire: almeno 17 persone sono rimaste uccise nella città di Rafah, nel sud dell’enclave diventato il centro dell’offensiva israeliana, in due attacchi aerei condotti nella notte fra venerdì e sabato. A nord intanto, in particolare a Gaza Metropolis, Hamas prova a rialzare la testa sfruttando il parziale ritiro dell’Idf dalla zona. L’organizzazione è tornata a schierare agenti di polizia per ripristinare l’ordine e ha ripreso, parzialmente, a pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici per dimostrare come l’obiettivo israeliano di sradicarla completamente dalla Striscia sia lontano dall’essere raggiunto.