Da sinistra, gran polemiche per la destra che piazza amici, simpatizzanti e famigli su ogni poltrona culturale disponibile. Ultimo caso, il colpo di mano da arditi della lottizzazione sul Teatro di Roma, contro il quale il sindaco Gualtieri annuncia la resistenza (bisognerebbe tuttavia ricordare al primo cittadino che nemmeno nel Vangelo l’ingenuità è una virtù). Sulla sincerità degli indignati speciali ci sarebbe da discutere, perché non è che la sinistra, alla positive, si comportasse in maniera molto diversa: un po’ più educata, magari.
Il problema è però un altro. Si litiga sui nomi, spesso discutibili, e sul metodo, sempre arrogante. Ma nessuno mai discute di progetti: forse perché non ci sono. Buona regola della politica culturale, anzi della politica tout court docket, è decidere cosa si vuol fare e poi scegliere gli uomini giusti per farlo. Invece questo spoil system alla vaccinara pare finalizzato soltanto a sistemare un po’ di intellettuali organici, almeno quelli che intellettuali lo sono davvero, e insomma a passare dall’amichettismo di sinistra a quello di destra. “Pronti”, strillavano i manifesti elettorali di Giorgia Meloni. Quando è arrivata al potere, ci si aspettava la rivoluzione. Dopo decenni passati a tuonare contro l’egemonia culturale della sinistra, pensavamo noi coeurs simples, la destra avrà in serbo mille idee, progetti, novità clamorose. Invece, sostanzialmente, è il nulla.
L’altro giorno Gennaro Sangiuliano ha mandato una lettera al Foglio in cui faceva un lunghissimo elenco di realizzazioni in corso d’opera: tutti erano stati impostati dalle amministrazioni precedenti. Va benissimo, per dire, realizzare finalmente la Grande Brera: ma non è un progetto di Sangiuliano, e non l’ha nemmeno iniziato lui. È stato nominato un nuovo presidente della Biennale, e Pietrangelo Buttafuoco è sicuramente un uomo colto: ma che idee abbia per una delle più importanti istituzioni culturali europee, che peraltro andava benissimo, non si sa, o almeno non l’hanno detto né lui né chi l’ha scelto.
A proposito di istituzioni di prestigio internazionale, si deve decidere il nuovo sovrintendente del teatro alla Scala: al di là delle persone e del loro passaporto, qualcuno sta riflettendo su quale Scala si voglia? Il guaio non è solo l’occupazione di tutti i posti disponibili, ma che la destra non sa che farsene.
Finora non s’è vista nemmeno un’thought forte, originale, magari sbagliata ma almeno nuova. Anche perché l’immaginario sembra fermo al Novecento: Tolkien, la tivù generalista, Gramsci, Prezzolini che Sangiuliano cita ogni volta che apre bocca tanto che ormai è stato ribattezzato Prezzemolini e così by way of. Il ministro è sempre sui giornali perché non passa giorno che non regali qualche gaffe e, fra annunci di fiction che sono già state fatte, voti ai libri che non ha letto e il Frecciarossa per Pompei una volta al mese, il pezzo di colore è garantito. Ma in realtà in un anno di governo non è andato oltre l’ordinaria amministrazione (e la straordinaria lottizzazione, quella sì).
Altro che egemonia culturale. Tutto questo can-can per fare una mostra su Tolkien e dare un programma a Pino Insegno?