Wednesday, November 20, 2024
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Sinner romanzo popolare, a Melbourne in palio il primo titolo Slam contro Medvedev

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Finalmente l’abbiamo trovato. «Erano anni che non stavo alzato la notte». Oppure: «dopo Federer mi ero allontanato dal tennis».

Jannik Sinner, comunque vada, ormai ci è entrato sottopelle. Ha riportato i boomer agli anni in cui si puntava la sveglia a ore improbabili per seguire le finali di Coppa Davis di Panatta & Co, e fornito alle generazioni Z e X (ne esiterà una Y?) un modello a cui appendere ambizioni e progetti.

Dopo un torneo da sovrano, un set perso – contro Djokovic! – in sei match, stamattina alle 9, 30 (television su Eurosport) gli rimane solo il problema Daniil Medvedev, numero 3 del mondo, il diavolone moscovita che l’anno scorso Jan ha esorcizzato tre volte di fila, ma che di finali Slam ne ha già giocate cinque, due a Melbourne, e vinta una a New York. Noi una vittoria così la sogniamo da 47 anni, dal ’76 di Panatta a Parigi, e in Australia in singolare non abbiamo mai toccato palla. «Buongiorno Italia», ha scritto Jannik due giorni fa sulla telecamera: sa che siamo lì, che contiamo su di lui.

È tennis, certo. Ma non solo. Sinner è la proiezione del sogno che tutte le famiglie, felici e infelici, coltivano alla stessa maniera: un figlio “normale”, ma straordinario per il talento che ha ricevuto, per la passione che mette in tutto quello che fa. E di conseguenza – qui sta il miracolo, per un popolo abituato a condoni e agevolazioni – per i risultati che ottiene.

Jannik non si è scomposto per le critiche che gli sono piovute addosso in questi anni, pubblicamente non ha fatto un plissé quando Alcaraz ha messo la freccia e lo ha superato. Ha deciso che i tempi della remuntada sarebbero stati suoi, che nessuno gli avrebbe dettato l’agenda. Non ha aspettato la vendetta per procura in riva al fiume è montato in bicicletta e ha scalato un tornante dopo l’altro. Ha dentro il silenzio dei suoi monti, sapeva che i traguardi veri sono sempre in salita. Lo scatto prolungato degli ultimi sei, sette mesi – Toronto, Torino, Malaga, Melbourne – è quello di Coppi o Bartali che decidono che è ora di tagliare il vento e staccano l’anima dai dubbi.

La storia del nostro tennis è piena di campioni nati accanto al confine, gente che sa come passare le dogane che separano desideri e realtà. Uberto de Morpurgo, high ten degli Anni ’20, è nato a Trieste, cittadino austriaco e poi italiano solo dopo la Grande Guerra. Il vero cognome di Gianni Cucelli period Kucell, veniva da Fiume come Stefano Mangold e Orlando Sirola. Beppe Merlo è nato a Merano – 140 chilometri da casa Sinner – Nicola Pietrangeli a Tunisi, a Roma nel dopoguerra lo chiamavano “Er Francia” perché non parlava una sillaba di italiano.

Sono stati loro a dare una prima svolta popolare al nostro tennis, quando il lusso erano una vespa o una Lambretta. Vent’anni dopo è toccato a Panatta, ma anche all’udinese Barazzutti innescare il growth, trasformando il tennis in un ascensore sociale su cui salire in pantaloncini e Superga sporche di terra rossa. Dall’inizio degli ’80 all’altro ieri abbiamo vissuto una Lunga Marcia, attraversato una penombra interrotta da lampi minori. Le genialate di Canè, i diritti di Camporese, la grinta della Reggi, le raucedini di Galeazzi; la finale di Davis del ’98 costruita sulle volée di Nargiso, la tigna di Gaudenzi e lo gradual tennis di Sanguinetti. C’è voluto il nuovo Millennio per sdoganare l’altra metà del campo con la generazione fenomenale di Pennetta & Schiavone, Errani & Vinci, fuoriclasse vere ma che per mille ragioni, prima di tutte la tassa all’origine (oggi diremmo: patriarcale) che sconta lo sport femminile, hanno messo radici meno salde nell’immaginario nazionale.

L’ultima movida azzurra ha rimesso in moto i pollici sul telecomando, serviva però il chief, il trascinatore che non è riuscito a diventare Matteo Berrettini, il primo finalista a Wimbledon di una tradizione che tolta qualche eccellenza, è vissuta sempre al di sopra dei propri mezzi. Matteo è stato grande, e speriamo torni advert esserlo, Jannik è qualcosa di diverso. Un pezzo unico. Ci period parso evidente all’inizio, ma l’italiano è scettico per indole, come diceva Flaiano fatica a perdonare il successo e sale convinto sul carro solo quando la vittoria è certa. Jannik è il ragazzo partito da lontano che per la prima volta nella storia del nostro tennis non solo promette di vincere negli Slam, ma di diventare il più forte di tutti. Per questo siamo disposti a sacrificargli il sonno, e stamattina lo vedremo scendere in campo con un sentimento diverso nel cuore.

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