L’ultimo inganno della narrazione delle destre di governo lo ha svelato – suo malgrado – uno dei suoi più alti rappresentanti istituzionali, il presidente del Senato Ignazio La Russa, credendo di fare una lezione di diritto costituzionale sui poteri del presidente della Repubblica e accusando poi di «analfabetismo costituzionale» chi lo ha criticato e corretto per essere incorso, lui stesso, in una sgrammaticatura costituzionale al limite dell’inganno, l’ennesimo di questa stagione politica.
Siamo immersi – nostro malgrado – in un «mondo al contrario» nel quale, da almeno un mese, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la ministra per le riforme Elisabetta Casellati e by way of by way of autorevoli esponenti della maggioranza, nonché tutta la corte dei media che le ruota intorno, assicurano gli italiani che la riforma costituzionale sul «premierato all’italiana» non tocca assolutamente i poteri del Capo dello Stato. Andate a leggere il disegno di legge, dicevano con tono di sfida, e vedrete che non c’è alcuna modifica degli articoli della Costituzione sul Quirinale, salvo quello sulla nomina dei senatori a vita, che vengono tolti dalla circolazione. Una prova decisiva sbandierata in varie sedi e interviste. Con buona tempo della nutrita schiera di costituzionalisti che sostengono, invece, il contrario (cioè un’alterazione nell’equilibrio dei poteri disegnato dalla Costituzione), e che sono stati ascoltati in Parlamento nelle audizioni fiume delle scorse settimane. «Costituzionalisti ansiogeni» li hanno etichettati negli ambienti della destra, anche i giuristi di quell’space, tra i quali l’ex vicepresidente della Consulta Nicolò Zanon, che puntano invece l’indice contro la Costituzione materiale (o vivente), poiché non solo consente al Presidente della Repubblica di estendere i propri poteri come una fisarmonica, ma persino di raddoppiare il settennato presidenziale con il massimo dell’estensione dei poteri. Il che, esclamano, è già una grave alterazione della forma di governo parlamentare prevista dalla Costituzione. Nessun riferimento esplicito a Sergio Mattarella ma comunque l’invito al governo advert andare avanti in modo coerente con la scelta di fondo dell’elezione diretta del premier, che, proprio in virtù dell’investitura popolare, è incompatibile sia con il voto di fiducia del Parlamento sia con il potere del Capo dello Stato di conferire l’incarico al premier eletto.
Su questa linea, ecco ora Ignazio La Russa. La seconda carica dello Stato esclude qualunque riferimento personale a Mattarella e in prima battuta ribadisce che la riforma non intacca i poteri costituzionali del Quirinale: «Nessuno degli articoli che li riguardano verrà modificato» assicura. Segue la presunta lezione di diritto costituzionale: «C’è una Costituzione materiale che ormai attribuisce al Capo dello Stato poteri più grandi di quelli che la Costituzione originariamente prevedeva». Pertanto, «un’elezione diretta del presidente del Consiglio potrebbe ridimensionare l’utilizzo costante di questi ulteriori poteri. Ridimensionarli, non eliminarli».
Ma come? Non eravamo tutti ansiogeni nel preoccuparci del ridimensionamento dei poteri del Capo dello Stato? Ansiogeni e in malafede verso le intenzioni del governo, le rassicurazioni di Meloni e Casellati? Non eravamo tutti accecati dal pregiudizio, allarmisti, nemici della modernizzazione delle istituzioni, insensibili alla stabilità al governo con il potenziamento dei suoi poteri?
Non eravamo tutti Cassandre nel temere ricadute detrimental anche sugli altri organi di garanzia, la Corte costituzionale e il Csm, di fronte a questo super-premier pigliatutto, al quale viene regalata una bella fetta di Italia che non l’ha votato pur di garantirgli il 55% di deputati e senatori? Che esagerazione quel timore di veder «rimpiccioliti» tutti i contrappesi al potere della maggioranza, che una sana democrazia costituzionale reclamerebbe! Insomma, eravamo tutti «complottisti» nel temere un Parlamento svilito, un capo dello Stato scarnificato, organi di garanzia allineati…
Poi è arrivato La Russa che ha svelato l’inganno di Meloni & co. Ecco il presidente del Senato ammettere candidamente che, sì, l’elezione diretta del premier ridurrà i poteri del Colle, perché vuoi mettere un’investitura popolare (quella del presidente del Consiglio) con un’investitura parlamentare (quella del presidente della Repubblica)? Non c’è partita.
La Russa naturalmente non lo cube ma il gioco del centrodestra è ormai evidente: alterare l’equilibrio dei poteri, e svilire proprio quelli che svolgono una funzione di limite, di garanzia del pluralismo e dei diritti delle minoranze. In sostanza, se il Quirinale si dovrà rimpicciolire di fronte a sua maestà il premier, a maggior ragione dovranno farlo la Consulta e il Csm, in parte eletti da un Parlamento specchio della maggioranza e comunque privi di quell’investitura popolare che sua maestà il premier rivendicherà (lo fa già oggi quando, sbagliando, parla di «governo democraticamente eletto» in contrapposizione ai giudici) per pretendere di non incontrare lacci e lacciuoli sul suo cammino. Eccoci servita la metamorfosi del diritto: non più limite naturale al potere delle maggioranze, ma grimaldello per scardinare i limiti a quel potere.
Del resto, proprio in questi giorni va crescendo il rumore contro i giudici, e purtroppo è cominciato anche quello contro la Corte costituzionale. In Parlamento abbiamo dovuto ascoltare voci (della maggioranza e di Italia Viva) che additano i giudici e la Consulta come un «problema per la democrazia del paese». Se a ciò aggiungiamo la progressiva offensiva del governo contro la libertà di stampa, i saluti romani nelle aule di giustizia dopo la condanna del commando fascista che assalì la sede della Cgil, il linguaggio ostentatamente evocativo del regime usato da esponenti del governo, voilà, il gioco è fatto.
Sono tutti segnali di una gravità inaudita (e molti altri ce ne sono stati nei dodici mesi che abbiamo alle spalle); sono il sintomo di una deriva pericolosa per la nostra democrazia. Ecco perché bisogna emanciparsi dalle narrazioni ingannevoli delle destre di governo e costruire una vera, solida mentalità costituzionale che consenta di arginare le derive antisistema, a garanzia dei diritti. E l’alterazione dell’equilibrio dei poteri, lo ha ricordato ieri Mattarella, incide profondamente sui diritti di libertà.
Suo malgrado, La Russa ha svelato l’inganno sottostante la riforma del premierato. Parole dal sen fuggite? Lui cube di no, rivendica una lettura «originalista» della Costituzione e accusa gli altri di «analfabetismo» e «malafede». Mossa falsa. La Russa ignora, o finge di ignorare, che nel 1953 fu il presidente Luigi Einaudi a battezzare il primo governo tecnico guidato da Giuseppe Pella. Ignora, o finge di ignorare, che i poteri del Quirinale sono per loro natura flessibili e si estendono nei casi di crisi, affinché il presidente possa esercitare il suo fondamentale ruolo di intermediazione, quale rappresentante e garante dell’unità nazionale. Ignora, o finge di ignorare, a proposito di Costituzione materiale e prassi distorsive, il ricorso abnorme dei governi ai decreti legge (ben 35 quelli targati Meloni), la disomogeneità dei loro contenuti e dei maxiemendamenti, fatti approvare con continui voti di fiducia (25), il conseguente svuotamento dei poteri del Parlamento, la mancanza di qualunque leale collaborazione con altre istituzioni (vedi la Consulta). E che cosa dire di un governo che non sa nemmeno che cos’è la «funzione contromaggioritaria» degli organi di garanzia – giudici indipendenti e Corte costituzionale – e la considera un qualcosa di eversivo… Ecco, questo è l’«analfabetismo costituzionale». E purtroppo è di casa nelle destre di governo, e in tutto il coté che le circonda.