Gianluca Vialli, un anno dopo la sua morte. Period la notte del 5 gennaio a Londra, ma la famiglia rese pubblica la scomparsa dell’ex centravanti di Sampdoria, Juventus e Nazionale l’indomani mattina. Gianluca period malato da tempo, non ha mai fatto nulla per nascondere quella sofferenza e nemmeno la sua voglia di vivere sublimata in quell’abbraccio sul prato di Wembley con Roberto Mancini. Un anno dopo la sua morte Vialli ancora una volta ci prende in contropiede e ci parla della sua vita: lo fa attraverso le pagine di un libro che raccoglie i principi che hanno orientato i suoi 58 anni dentro e fuori dal campo. E lunedì 8 gennaio lo faranno gli amici di una vita con una serata speciale al teatro Carlo Felice di Genova: “My identify is Luca. Ballata per Vialli”. Il ricavato della serata sarà devoluto dalla Fondazione Vialli e Mauro a sostegno del progetto “MOMALS: monitoraggio e analisi multi-omica della SLA”, dei Centri Clinici NeMO di Milano e Arenzano.
LE DUE FIGLIE – “Mi hanno cambiato la vita. Sogno di portarle all’altare”
Ciò che mi ha cambiato di più nella vita sono state le mie figlie. A loro non importa niente di chi sono stato, di cosa ho fatto, di cosa ho vinto. Cioè, non è del tutto vero, ma in fondo un po’ sì. Hanno questo modo bello per farmi capire che ciò che gli altri considerano importante di me, di Luca Vialli, per loro non lo è. Per loro è importante quello che ci diciamo a tavola, cosa facciamo nel weekend, quando le porto a scuola e quando le vado a riprendere. Le abbiamo mandate a un school di Ascot, tipo Hogwarts, quello di Harry Potter. Non ci sarà la magia ma costa uguale. Passano lì tutta la settimana. All’inizio, quando erano più piccole, è stato difficile separarsi, per noi e per loro, ma qui la scuola funziona in modo diverso: ti fanno crescere prima, vogliono che tu sia indipendente. E io, che ho avuto la fortuna di esserlo molto presto, grazie al calcio, so quanto sia importante. Se desidero una cosa, per loro? Di portarle all’altare, sì, come fanno i papà italiani.
ALLA JUVENTUS – “L’Avvocato mi chiamava alle sei. Che determine… ero addormentato”
Ho sempre amato il calcio. Ho amato questa professione e ho cercato con tutto me stesso di farla nel migliore dei modi. Ho sempre creduto, anche quando ho raggiunto la “maturità agonistica”, di avere margini di miglioramento, e quindi ho cercato di sfruttare tutti i momenti utili per migliorare le mie qualità. In generale ci tengo a fare bella figura, a mettere tutta la mia professionalità in quello che faccio. In molti mi hanno definito una sorta di perfezionista, però credo che la questione sia che soltanto comportandomi in questo modo mi sento realizzato… Io non voglio avere nessun rammarico e non voglio avere qualcosa da ridire su quello che poteva essere e non è stato, per questo cerco sempre di mettercela tutta.
Ricordo che, quando ero alla Juventus, mi capitava di ricevere la classica telefonata mattutina dell’Avvocato. Succedeva così: mi chiama il centralino e mi cube «Qui casa Agnelli, signor Vialli? Le passo l’Avvocato». I primi tempi le chiamate arrivavano alle sei e mezzo del mattino, quindi immaginatevi me completamente rimbambito dall’essere andato a letto alle due di notte, l’Avvocato che mi fa un paio di domande, io che balbetto qualcosa, ancora con la bocca impastata, e lui che subito si stufa e mi cube «Va bene, arrivederci Vialli, in bocca al lupo» e riattacca. Che figura, ogni volta. Allora, per risolvere il problema mi sono messo d’accordo con il suo centralino e gli ho detto: «Guardi, mi dia una mano, mi metta in coda alle telefonate», dato che Gianni Agnelli period solito fare tra le trenta e le quaranta telefonate al mattino. Così la sua chiamata cominciò advert arrivare alle nove e mezzo circa. A quell’ora riuscivo a spiccicare due parole, potevo prepararmi meglio, e quindi la conversazione si prolungava e diventava molto più interessante, spero, anche per l’Avvocato. In questo modo facevo bella figura e riuscivo a dormire per bene.
IL SALTO DI LIVELLO – “Lippi mi ha ricostruito. Abbiamo vinto lo scudetto”
Alla Juventus le cose erano iniziate bene, poi però è successa una serie di imprevisti, infortuni, equivoci, e, insomma, nei primi due anni numerous volte mi è venuta la voglia di tornarmene a Genova. Mi mancava soprattutto una cosa: guardare negli occhi l’avversario prima della partita e sentirti superiore. Quel momento quando sei nel sottopassaggio e stai per entrare in campo. Riuscite a immaginare la bellezza di leggere negli occhi degli avversari il timore di affrontarti. Ti dà una carica incredibile, e io penso che a quel punto tu abbia già acquisito un bel vantaggio. Alla Samp provavo questa sensazione, di far capire all’avversario che gli stai per fare un mazzo grosso così. È una sensazione di forza e di potere psicologico fantastica. E nei miei primi due anni a Torino sentivo di averla persa (…). Poi è arrivato Lippi, e le cose sono cambiate… Ho avvertito la fiducia dell’ambiente, di un nuovo allenatore che mi ha ricostruito (…) e sono arrivati i risultati. Abbiamo vinto il campionato proprio dopo l’property in cui sembrava che il mio rapporto con la Juventus stesse per esaurirsi. Anche se non mi piace, dopo quello scudetto ho provato un senso di appagamento, perché avevo dimostrato di essere un giocatore importante per la Juventus (…). Reagendo con energia alle difficoltà iniziali.
LA NAZIONALE – “Quando Gravina mi ha chiamato mi sono innamorato dell’thought”
Un giorno, ero in macchina advert Ascot nel parcheggio della scuola delle mie figlie, erano le sei del pomeriggio e stavo aspettando che mia moglie finisse di fare le cose che fanno le mamme quando portano le figlie a scuola dopo un weekend di vacanza… e mi arriva una telefonata da parte di Gabriele Gravina, il presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio.
Non l’avevo mai conosciuto personalmente, ma apprezzavo molto come aveva cominciato a muoversi. Le sue idee per una rinascita del calcio italiano mi affascinavano. Mi disse che stava cercando un capo delegazione per la Nazionale, e che io potevo essere la persona giusta. Devo dire che la proposta mi ha molto gratificato: pensate che quando io giocavo in Nazionale il capo delegazione period un certo Gigi Riva! Un mito.
Ci rifletto un po’. È un ruolo part-time e quindi penso di poterlo gestire, tenendo conto di quello che sto facendo adesso e della mia situazione familiare, ma soprattutto della mia malattia.
Mi sono subito innamorato dell’thought, ma il problema è che in quel momento ero impegnato nel tentativo di acquistare la Sampdoria, e quindi ho dovuto dire al presidente federale: «Sono lusingato e risponderei di sì adesso, ma devo aspettare di capire meglio come si evolve la situazione relativa alla Samp».
Lui mi ha detto di non preoccuparmi, di pensarci su e di fare quello che dovevo, ma che secondo lui c’period la possibilità di portare avanti entrambi i progetti. Non ho accettato immediatamente, è passato qualche mese, ma poi, essendo sfumata la possibilità di acquistare la Sampdoria… ho richiamato Gravina e gli ho detto: «Adesso sono pronto, sono tutto tuo e della Federazione. Consideratemi parte della squadra!».
L’AMICIZIA CON MANCINI – “Lui period il bello e io il simpatico. Mai detta una bugia a Roberto”
Io credo di non aver mai detto neanche una bugia a Roberto… be’, magari qualche volta non gli ho detto tutta la verità, tipo quando c’period di mezzo qualche ragazza… Magari io c’ero già stato e non glielo dicevo perché mi sembrava poco elegante, però no, non c’è mai stato bisogno di raccontarsi delle bugie perché il nostro è sempre stato un rapporto molto diretto e non abbiamo paura di dirci le cose. Lui period considerato quello bello e io quello simpatico, quindi con le ragazze mandava avanti me, poi arrivava lui e me le soffiava… Io facevo il lavoro sporco, are available in campo, e lui finalizzava.
Lui aveva talento e io invece la perseveranza. Ma la cosa che ci distingueva da tutte le altre coppie di attaccanti period che Roberto ha iniziato la sua carriera da centravanti e poi a un certo punto si è rotto le balle di correre a destra e a sinistra e quindi ha chiesto di essere spostato 20 metri più indietro nel campo perché voleva fare il numero 10, voleva inventare. Io invece nasco come numero 8, quindi come mezzala, poi sono stato un numero 7, quindi ho giocato anche sulla fascia, prima di diventare un centravanti. Quindi sapevamo fare tutti e due entrambe le cose, e all’interno di una partita riuscivamo, a seconda del momento e delle situazioni, io a fare un passo indietro e lui a fare il centravanti… In questo modo diventavamo difficili da gestire e da marcare per i difensori avversari, e ciò ci rendeva abbastanza imprevedibili e molto efficaci. Mi ricordo che in una partita di Coppa dei Campioni lui period circondato da tre o quattro avversari, fece un lancio a occhi chiusi, palla a campanile, io la misi a terra, mi arrivarono addosso due o tre difensori, li superai e di scatto arrivai davanti al portiere e la misi dentro. Il giorno dopo lessi sul giornale “Grande help di Mancini, gol di Vialli”, ed period una cosa che succedeva spesso… Sembrava che i giornalisti apprezzassero di più il suo di lavoro.
IN OSPEDALE A LONDRA – “All’esame del sangue mi chiamarono Bruce Willis”
Un giorno che sono a Londra, in ospedale, per fare il classico esame del sangue, vado in un reparto che non è il solito, quel giorno il mio reparto period chiuso. Lì trovo un’infermiera che si prepara a farmi l’esame del sangue, mi guarda a lungo, ci pensa su e poi mi cube: «Ma lo sa che lei assomiglia a Bruce Willis?». Devo ammettere che mi ha fatto immensamente piacere, perché alle volte, quando uscivo con i miei amici, facevo proprio finta di essere il famoso attore di Hollywood, ma alla high quality non ci cascava mai nessuno. Mi ha lusingato che finalmente qualcuno si sia accorto di questa mia somiglianza. Ho sorriso e le ho risposto: «Lo so, non è la prima volta che me lo dicono, però mi scambiano molto più spesso con un allenatore di calcio, un ex giocatore italiano che si chiama Gianluca Vialli». L’infermiera mi chiede come si scrive, prende il telefonino, va su Google e guarda le mie foto, poi le fa vedere all’altra infermiera, mi guardano di nuovo e alla high quality mi dicono: «No, lei assomiglia più a Bruce Willis che a Vialli». Ecco, in quel momento ho pensato che se lavori sodo per tutta la vita, se fai sacrifici e non molli mai… alla high quality riesci a essere Bruce Willis.