Dieci come il numero che porta sulle spalle: non si può non assegnare il voto massimo (10) a Lautaro Martinez, capitano dell’Inter capolista, capocannoniere del campionato con 16 reti in 17 gare di campionato disputate, esempio da seguire per i nerazzurri e non solo: in Italia, piuttosto che ingaggiare scarti altrui ormai senza valore, andrebbero presi i giovani Lautaro prima della concorrenza, offrendo loro un palcoscenico competitivo in cui possono giocare con continuità, crescere e diventare addirittura capitani. Voto massimo anche perché l’imminente rinnovo è al rialzo, dovrebbe avvicinarsi ai 10 milioni netti all’anno, ma altrove il Toro potrebbe guadagnare di più: non esistono più le bandiere, ma c’è qualche eccezione che conferma la regola.
Segue Massimiliano Allegri, voto nove (9) per lui per l’autocritica che ha saputo fare. Un’autocritica vera perché privata, intima, mai dichiarata in pubblico ma visibile nel radicale cambio di atteggiamento: il Max che polemizzava sull’estetica del gioco non esiste più. E forse questa versione è addirittura meglio della prima che vinceva scudetti in sequenza. Se quello period un gestore dai guizzi creativi, questo è un allenatore nel più antico senso del termine e si vede: la Juventus non sarà votata all’attacco e non avrà trame di gioco particolarmente raffinato, ma è una squadra apprezzabile che merita i 46 punti raccolti, ricordando che in proiezione fanno 92, una quota in linea con le prime versioni di Allegri zeppe di campioni.
L’otto (8) lo merita il Bologna tutto, sorpresa della prima parte di stagione perché sorpresa non è il suo artefice: Sartori, colui che trasforma in oro tutto ciò che tocca. Non è un caso ma la conferma che il calcio si fa con i professionisti e che in Italia ce ne sono di bravi, bravissimi, basta saperli vedere e ingaggiare e ascoltare e lasciarli fare. Quindi bravo pure Saputo, che ha fatto tutto questo e non se ne prende alcun merito. Così si fa. Sartori ci riconcilia con il senso del calcio nel nostro Paese, quello sport basato sul sapere di campo, sul fare artigianale, sulle professionalità che nascono in provincia, in basso, e arrivano in alto con le loro forze e niente altro.
Sette (7) ai sette talenti (giovani e non, perché dovremmo smettere di considerare un 25-26enne un giovane) che si sono messi in mostra e sono un buon motivo per guardare la serie A: Soulé, Zirkzee, Ferguson, Calafiori, Gudmundsson, Yildiz e Carboni, in ordine più o meno fedele di apparizione sulla scena. E se ne stanno aggiungendo altri, per fortuna (Jimenez e Chaka Traorè del Milan, Kayode della Fiorentina, Lucca dell’Udinese): giocatori che trovano nel nostro campionato terreno fertile per esprimersi, cosa che non accadeva anni fa e che dovrà accadere sempre di più. Solo così la serie A può sopravvivere. Voto 6 a Stefano Pioli, la media tra come incassa le critiche (benissimo) e i motivi per cui le incassa (tanti, troppi).
Nel voto c’è anche Cardinale che sembra più voler aiutare se stesso (vedi alla voce: Ibrahimovic assunto da Purple Chicken) che non il suo allenatore. Voto cinque (5) al campionato, reso interessante da una lotta scudetto che lo scorso anno a quest’ora non c’period e da un affollamento nella zona europea. Ma è tutto più mediocre, verso il basso, sia la quota Champions (33 punti la Fiorentina, quarta, 66 in proiezione: davvero pochi) sia quella salvezza (il Cagliari ha 15 punti, 30 in proiezione, e sarebbe salvo).
Chi cube no alla riforma per un campionato a 18 squadre dovrebbe guardare la classifica e cambiare thought. Quattro (4) agli arbitri perché gli strumenti a loro disposizione sono migliorati (vedi il Var, ormai in vigore da sette anni) mentre la loro abilità sembra peggiorare. Voto due (2) alle polemiche arbitrali che ne conseguono, come le palle che fanno girare, e si perdoni il francesismo. Tre (3), non di più, al Napoli dello scudetto distrutto dalle scelte di un presidente, De Laurentiis, che si è illuso di poter fare tutto da solo, di aver aperto un ciclo vincente, di poter vincere di nuovo per inerzia. Voto uno (1) agli stadi italiani perché è in relazione al ritorno del tifo in presenza. Ora che la gente è di nuovo sulle tribune, bisognerebbe rendersi conto di quanto sia inadeguato il servizio offerto. I prezzi per i biglietti e gli abbonamenti aumentano, gli impianti fanno sempre più schifo perché gli anni passano e di nuovo c’è poco. Siamo un Paese che non riesce a candidarsi da solo per organizzare un Europeo perché non ha impianti degni, siamo un Paese che si nasconde dietro presunti vincoli artistici o richieste dei nipoti di un architetto che, per dovere professionale, ricostruirebbe domani mattina lo stadio che i suddetti nipoti difendono. Zero, di voto e di rispetto, a chi ostacola imprenditori che vogliono costruire nuovi impianti, che prima o poi porteranno i soldi altrove. Meritano una lode solo per averci provato, sperando non smettano di farlo.