Monday, May 20, 2024
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Almeno una pittrice o una filosofa da amare. E più maestri maschi

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«Educare i maschi è difficile perché il loro punto di vista è quello dominante, e credono di parlare a nome dell’umanità intera. Hanno subìto e basta la rivoluzione femminista, che ha ridiscusso le categorie del maschile e del femminile». Lo cube Marco Palillo, ha 34 anni, è nato advert Agrigento da una madre femminista, è docente di sociologia dell’Università di Greenwich di Londra. Ha insegnato a Sciences Po e alla London Faculty of Economics. È impegnato nell’ambito dei masculinity research, filone dei gender research dedicato alle identità maschili. Ha pubblicato lavori sui rifugiati uomini nel Mediterraneo per prestigiose riviste, come Worldwide Migration Evaluation e Journal of Ethnic and Migration Research. È uno dei pochi, nella mia cerchia, con i quali parlare dei rapporti fra uomini e donne senza sorbirsi banalità o, peggio, difendersi dalle invasioni di campo degli odiosi “maschi femministi”.

Ma si possono davvero educare i maschi? E poi, serve a qualcosa? Lui mette le mani avanti: «Non è facile, perché la stragrande maggioranza degli uomini non si interroga sul maschile o sulla maschilità. Gli uomini faticano a pensarsi come parte della relazione fra i generi». Come mai? Non sono mica stupidi. Educarli a pensarsi come a una parte, e non come all’universale, si traduce in fatti concreti, non solo in massimi sistemi. Pensa come per molti sia ancora umiliante guadagnare meno della loro compagna. «Il pensiero femminista insegna che le relazioni di genere seguono il corso della storia e, dunque, si possono cambiare», obietta Palillo. Le donne hanno iniziato il femminismo quando liberarsi dallo sfruttamento, dalla violenza, dall’oppressione è diventato questione di vita o di morte. Per gli uomini che vantaggio ci sarebbe? Lui ammette che tutti gli uomini traggono vantaggi e privilegi dal potere sulle donne, però c’è un prezzo. I rigidi codici della maschilità non tollerano ambiguità: «Pensa alla salute mentale: gli uomini non sanno chiedere aiuto, esprimere le emozioni, riconoscere le fragilità. Imparano presto che la maschilità va dimostrata costantemente, a sé stessi e agli altri. Non conformarsi attira la violenza».

Rifiuto di pensare che esista un modo solo di essere uomini. La forza maschile può esprimersi come violenza, ma anche sostenere l’eroe, il cavaliere dalla armatura scintillante che protegge i deboli, combatte l’ingiustizia. «Tra i modelli culturali e la vita materiale esistono grandi discrepanze – cube il mio interlocutore – Come suggerisce la sociologa australiana Raewyn Connell, è bene pensare alle identità maschili come molteplici. In ogni società e epoca storica ci sono modelli di maschilità dominanti, ma anche variabili come la classe sociale, l’etnia, l’orientamento sessuale. Che cosa avevano in comune Berlusconi, e l’operaio che lo votava negli anni Novanta? Sicuramente un modello culturale maschile, ma non le risorse per incarnarlo». «Devi aggiungere che anche fra uomini ci sono relazioni di potere, e la violenza è spesso frutto di queste gerarchie – continua Palillo- In certi contesti socio-economici la violenza criminale è per i ragazzi un modo per affermare di essere “veri uomini”». Già. Le serie come Gomorra o Suburra o i testi della lure lo spiegano benissimo.

E allora, come fare? Una delle madri del femminismo italiano, Alessandra Bocchetti, ripete spesso che bisogna riprendere a insegnare economia domestica nelle scuole, sia ai maschi sia alle femmine, perché non può esistere qualcuno che non sa caricare a dovere una lavatrice, anche se è uomo. Forse ci vogliono più insegnanti maschi negli asili, accudire un piccolo cambia il rapporto con la vita, incute il rispetto per la delicatezza della vita. E poi sarebbe un buon esempio, significa che non ci sono mestieri da donne e mestieri da uomini. Palillo è d’accordo: «La scuola può fare molto per insegnare ai ragazzi che i saperi legati al lavoro di cura non sono di serie B. Ma c’è anche altro. Da anni collaboro con Didacta Italia, il più importante evento sulla formazione gli insegnanti. Tengo un seminario su come raccontare le diversità in classe. È rivoluzionario dare ai ragazzi occasioni per parlare, creando un collegamento tra il materiale didattico e le loro esperienze. Inoltre bisogna evitare a tutti i costi che un ragazzo finisca la scuola dell’obbligo senza aver mai letto e ammirato un’autrice, studiato il lavoro di una pittrice o di una filosofa». Alla positive si torna sempre a quello che ha insegnato il femminismo, sei d’accordo? «Sì – cube rispettosamente lui – Abbiamo un debito che va riconosciuto. Discutere di potere e diseguaglianze serve advert aprire nuovi spazi di libertà per tutte e tutti, inclusi gli uomini».

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